Roma città selvaggia

L’esigenza di riappropriarsi di Roma sembra essere la causa scatenante della genesi di un progetto ambizioso come quello di Maniphesta. Giovanni Romagnoli, architetto e creatore dell’evento, parla di una Romanimale, un concetto che nasce in seno alla leggenda fondante della città. Roma vista come giungla urbana popolata da diverse specie che non necessariamente ricalcano gli antichi bestiari figurativi dove venivano divulgate le nozioni scientifiche rispetto ogni sorta di essere vivente proveniente dalla fauna terrestre. Maniphesta è un evento che coinvolge diverse discipline e che mette in comunicazione differenti realtà artistiche e creative. Comun denominatore è il concetto portante di questo evento, l’essenza stessa che descrive e analizza la complessa civiltà urbana di Roma. Ogni artista, tra i nomi citiamo Leonardo Crudi, la cui opera è ispirata al pensiero marxista e all’icona madre di Anna Magnani, Simona Bellotti, Diamond, Simon D’Exea, Massimo Nicolaci, Atelier Branco, Domenico Romeo, Edoardo Civitella, Dolphin Laser Diamond, Francesco Giamblanco, Gianfarioli, Giorgios Papaevangeliou, sviluppa e costruisce il proprio immaginario visivo, una prospettiva aperta alla riflessione e alla descrizione della città. Gli apporti espressivi, come ad esempio quello del gruppo di Sbagliato che rende omaggio a Pistoletto e che identifica nella gabbia il senso bestiale della dimensione urbana, contengono molteplici chiavi di lettura dove poter rintracciare la rappresentazione del potere istintivo che risiede nella bestialità ferina. Abbiamo incontrato Romagnoli, ideatore e organizzatore dell’evento, che ha approfondito la genesi del progetto e la sua personale visione della città.

Come nasce Maniphesta e quali sono le peculiarità di questo evento?

«Maniphesta cerca di coinvolgere artisti a tutto tondo che provengono da diverse aree espressive. Street artist, fotografi, architetti e creativi che lavorano in differenti ambiti sono stati invitati in questa occasione per proporre e mostrare le loro opere. Maniphesta vuole diramare sostanzialmente un concetto di trasversalità. Secondo la mia opinione c’è bisogno di ricreare un immaginario collettivo ampio dove è possibile collaborare e ritornare nuovamente a un concetto di comunicazione».

Leggendo la presentazione dell’evento è insito in Maniphesta il tema di Romanimale, puoi spiegare meglio questa nozione?

«L’idea di Romanimale è basata sulla volontà di celebrare la città. Maniphesta vuole parlare di Roma ed era indispensabile trovare una tematica fondativa. Nella mitologia Roma antica fu fondata grazie a un animale, la lupa, il contesto in cui ci troviamo credo sia molto suggestivo dove è possibile ripercorrere le tracce della leggenda di Romolo e Remo. Ripa grande è uno spazio denso di significati ci troviamo in un luogo che si trova tra l’isola Tiberina e il ponte Sublicio. Credo che Maniphesta rappresenti la possibilità di parlare di una dimensione istintiva della città che è per l’appunto animalesca. Gli artisti sono vicini a questa dimensione, in qualche maniera canalizzano questa istintività in modo razionale producendo un messaggio veicolare».

L’evento è stato inaugurato lo scorso 27 giugno come si sviluppa nei prossimi mesi?

«La manifestazione nasce come una mostra d’arte ma è un evento multidisciplinare che coinvolge diverse forme espressive. L’intenzione è quella di trasformare un’esposizione in un festival dove possono convergere molteplici aree creative, ci sarà, ad esempio, una componente teatrale grazie agli 1+1= 3, una compagnia dinamica di attori che ha previsto delle performance lungo le banchine del Tevere. Ci saranno anche dei musicisti che hanno in qualche modo a che fare con il tema animalesco come ad esempio i The Giornalisti che porteranno le loro tracce in cui è possibile sentire versi di animali, l’evento è tutto costruito intorno a questo immaginario dove risiede un’identità precisa e pertinente».

Entrando nello specifico della mostra che tipo di interventi hanno ideato gli artisti coinvolti?

«Gli artisti coinvolti hanno proposto opere diverse e stilisticamente complementari. Hanno partecipato architetti, pittori, artisti materici, grafici e devo dire che sono riusciti a dare un panorama complessivo molto interessante passando da creazioni astratte al puro figurativo. C’è una densa stratificazione di messaggi all’interno delle opere esposte, a volte l’animale diviene un concetto astratto come nel lavoro di Freddy Ventriglia che, secondo la mia visione, ha interpretato la sua personale opinione di vitalità. L’opera di Sbagliato sonda l’ambiente animalesco di una gabbia, dove risiede un chiaro messaggio, un forte richiamo verso lo spettatore. Diamond, noto artista urbano di Roma, ha portato la raffigurazione di un leone intitolato King of the Jungle, laddove la giungla rappresenta la città, gli ostacoli del vivere quotidiano. Simona Bellotti è una fotografa che ha realizzato una composizione cui protagonista è una figura femminile cinta da due cani neri, in questo caso vi è un procedimento inverso, una sorta di trasposizione che ha ribaltato completamente la leggenda della fondazione di Roma. Leonardo Crudi, artista nato in seno al writing, ha compiuto un’operazione interessante facendo perno nel suo lavoro sulla figura di Anna Magnani, simbolo di Roma e incarnazione per eccellenza della lupa, un’icona di dolore e d’intensità. La bellezza di questo luogo credo risieda nel fatto che ci troviamo all’aperto lungo la sponda del Tevere, ci siamo appropriati di uno spazio esterno, un ambiente da vivere e che è divenuto una galleria d’arte sotto il cielo capitolino».

Fino al primo settembre, banchine di Lungotevere Ripa grande, Roma; info: www.lungoiltevereroma.it

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