Erotismo in bianco e nero

È l’erotismo incastonato in fotografie sensuali, dove la trasgressione pulsa prepotentemente e lo stile alternativo si mescola con un gusto più classico, pulito ed elegante. Luca Rubbi, fotografo milanese, immortala attimi di spontaneità e provocazione. Attivo dal 1982, l’artista fotografa quasi esclusivamente in bianco e nero, suggestionato dalla vita e dal succedersi di fatti, eventi, sensazioni ed emozioni da fermare. Le sue modelle, con i loro piercing e tatuaggi, le pose disinibite e le situazioni ad alto contenuto erotico in cui vengono sorprese, sono l’immagine di una sessualità svincolata dalle convenzioni, dal perbenismo e dal senso di colpa. Una libertà espressiva di chi è immortalato che si mescola con quella di chi riprende. L’artista si immerge, così, in un mondo fatto di naturalezza, con le sue tinte monocrome che accarezzano corpi nudi, ambienti casalinghi ed intriganti situazioni.

Quando e come è avvenuto l’avvicinamento alla fotografia erotica?

«Fin da bambino vedevo foto, libri e dipinti di mio padre con nudità di vario genere. Credo di aver iniziato a mia volta a disegnare figure di nudo attorno agli undici anni, poi con la scoperta della fotografia penso, anzi ne sono convinto, che sia stato un passo inevitabile, anche se non è avvenuto immediatamente».

Come nascono i suoi scatti e che tipo di sensazione vogliono infondere in chi li guarda?

«Nella fotografia io cerco l’energia. Per ciò che concerne la fotografia di nudo, ho sempre sostenuto che in fondo questa sia il ritratto perfetto in cui si esplicita il dis-velamento del soggetto. Poi gli scatti possono essere più o meno erotizzati. Il registro dipende da quello che si sentono di fare le ragazze, ma fondamentalmente io resto un ritrattista, per quanto il più delle volte risulti piuttosto esplicito. Si avverte sempre una certa tensione sessuale. Non impongo mai posture o atteggiamenti, che risulterebbero fasulli. In un certo senso lascio fare a loro quello che vogliono per poi comunque portarle a ciò che è ottimale per ambedue le parti. Questa ricerca della naturalezza è il miglior artificio per giungere alla bellezza, attraverso quella che io definisco come energia empatica».

Come mai scatta soprattutto in bianco e nero?

«Non ho deciso, ma la fotografia per me è bianconero. Per tornare al nudo, cito volentieri Ando Gilardi che negli anni ‘80 scriveva che nelle fotografie di nudo a colori la pelle ci appare sempre terribilmente troppo gialla. Per quanto io sia tutto meno che un astrattista, trovo che il bianco e nero sia più adatto per veicolare il reale in una sorta di realismo magico».

Sceglie modelle alternative, con piercing e tatuaggi in bella vista, o volti noti della fotografia underground (come Medea, ad esempio). Per quale motivo predilige donne con questo stile?

«La storia è più complessa. Ho iniziato a praticare il nudo come genere fotografico venti anni fa e fu la donna che poi è diventata mia moglie a farmi incontrare le ragazze. Queste erano persone “normali”, senza alcuna velleità a fare o divenire modelle, semplicemente erano interessate all’esperienza. Poi, in tempi molto più recenti, diciamo dal 2009, tutto è cambiato col web e i social network e mi si aperto un mondo “alternativo”. La prima è stata proprio Medea Teixeira, poi ne sono venute tante altre. La fotografia mi ha dato modo di conoscere e frequentare realtà, persone (bellissime) e modi di vivere molto diversi dal mio. Questa cosa mi piace molto e dopotutto penso che non siamo così diversi».

Che tipo di importanza ha l’erotismo (o la pornografia) nell’arte e che differenza c’è con il porno senza intenzioni artistiche?

«L’importanza è grandissima, non poteva non rispecchiarsi nell’arte visto che fa parte della nostra vita. Io penso che comunque sia sempre il modo a dare sostanza e pregnanza ad un prodotto più che l’intenzione. Per ciò che concerne le differenze,diciamo che lo scopo del pornografico puro sarebbe quello di indurre all’eccitazione sessuale, l’immagine è già ridondante, cortocircuita sul suo utilizzo che sta tutto in superficie. L’erotico, invece, evoca. Mostrando meno, attraverso una maggiore sensualità, piuttosto che una garbata seduzione, eccita di più o magari, semplicemente, in modo diverso.
Ora in parte è vero, però a me, ad esempio un certo tipo di erotismo conformista, annoia e prediligo una fotografia più esplicita. Non che la persegua in modo insistente, però mi sono molto ritrovato nel termine utilizzato da Arthur C. Danto nel saggio “Giocare sul limite” dedicato a Robert Mapplethorpe, la parola magica è “pornografia malinconica”, una sorta di terza via, senza la finzione talvolta un po’ artefatta dell’erotismo puro e senza la cruda azione sessuale che caratterizza il porno».

Ci sono artisti che l’hanno influenzata?

«Mi interesso di arte fin da bambino. Se dovessi fare tre nomi a bruciapelo di artisti che mi hanno influenzato, sicuramente Egon Schiele, Francis Bacon e Lucian Freud. Nella fotografia il già citato Mapplethorpe, per quanto poi non ci accomuni quasi niente. Diciamo che per lui ho sempre avuto un’affinità intellettuale.
Poi altri che non hanno nulla a vedere con l’erotismo, tra tutti direi Richard Avedon, che forse è il mio fotografo perfetto, e Robert Frank, che mi ha fatto intuire una diversa modalità del vedere attraverso la sua immanenza tragica.
Da un punto di vista formale non posso non menzionare Lee Friedlander. La sua influenza è stata talmente forte che per anni l’ho rimossa, ma i suoi celebri nudi della fine degli anni ’70, che ebbi modo di scoprire qualche anno dopo, mi fulminarono. Non avevo mai visto del nudo tanto crudo e brutale e assolutamente naturale».

Info: www.lucarubbi.blogspot.com