Brueghel, una dinastia da vedere

Forte di quasi 250mila visitatori, Brueghel, meraviglie dell’arte fiamminga, è stata prorogata al chiostro del Bramante di Roma fino al 7 luglio. Chiude così, di fatto, un ciclo iniziato a marzo 2012 a villa Olmo, sul lago di Como, dove la dinastia dei pittori fiamminghi ha raccolto altri 92mila visitatori. Un esito più che positivo, per una mostra che ha inteso illustrare non tanto l’opera del capostipite, quanto l’operato della sua nutritissima stirpe. Una dinastia che, affermatasi negli anni della repressione ispano-cattolica di Alessandro Farnese nei Paesi Bassi, ebbe la capacità di dominare la scena artistica delle Fiandre dai travagli delle guerre sociali e di religione della metà del Cinquecento agli albori del ‘700, pur distante dagli esiti pittorici dell’illustre Vecchio. Rispetto al capostipite, quel Pieter che si firmava Bruegel, già i figli Pieter il Giovane e Jan appaiono poco più che copisti, e peggio discendendo “giù per li rami” della nutrita serie di nipoti e bisnipoti, pittori che nulla aggiungono e molto tolgono alle glorie della famiglia. Minori rispetto alla solidità paterna ma non certo disprezzabili le opere del giovane Pieter: feste paesane, scorci di vita, danze nuziali per le quali s’ispirò non solo al padre, ma al coetaneo Marten van Cleve, pure in mostra con vari coèvi, a testimonianza della temperie dell’epoca. Degne di nota, tra l’altre, il suo Paesaggio invernale con la strage degli innocenti, chiara allusione ai massacri del Farnese nelle Fiandre, o l’incanto dei giochi sul fiume ghiacciato nella sua Trappola per uccelli. Poesia di vita popolana e testimonianza di costume sociale che coi primordi della pittura fantastica – assieme all’altro gran fiammingo, Bosch, un saggio della cui bravura è esposto con I sette peccati capitali – fecero la fortuna del vecchio Pieter. Magia che i suoi emuli ed eredi scipiranno e abbandoneranno via via, declinando la loro arte verso il nulla delle stramberie neoclassicheggianti, gli ovali floreali tanto alla moda nelle case dei buoni borghesi del Seicento, a testimonianza dei mutati gusti della committenza e della normalizzazione politica frutto della riconquista spagnola.

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Leggi l’articolo di Maria Luisa Prete

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