Un tuffo nel passato

Una mostra-evento quella inaugurata in occasione della Biennale veneziana negli spazi della fondazione Prada di Cà Corner della Regina, un evento che si insinua nella pratica di rifacimento di mostre storiche che hanno segnato il processo sempre in fieri dell’arte contemporanea. Il remake di When attitudes become form (titolo originario della nostra alla Kunsthalle di Berna, a cura di Harald Szeemann, Live in your head: when attitude become form. Works-concept-processes-situations-information) è una straordinaria operazione allestitiva e non solo, che proietta la mostra del ’69 nelle sale affrescate del palazzo della fondazione Prada e che giunge a esiti teorici nuovi, in virtù di una ricerca posta in essere a partire dal lavoro svolto a stretto contatto con il Research institute di Los Angeles, sede dell’archivio di Szeemann.

Muri bianchi in cartongesso e pavimentazione originaria sono innestati sulla pianta del palazzo Cà Corner, instaurando un dialogo serrato non solo con gli affreschi barocchi ma anche con le opere concettuali e processuali già presenti a Berna. Si tratta dunque di una doppia operazione: quella riferibile all’appropriazione di uno spazio storicamente già connotato e quella di rifacimento fedele della mostra di Berna. L’intento è stato naturalmente di riportare lo spirito della mostra primaria, e il suo principio che, per la prima volta, prevedeva la circolazione dello spettatore tra le opere e una sostanziale novità della proposta artistica che anticipava appunto la formalizzazione di un’attitudine al fare processuale e situazionale. La mostra è sostanziata da un apparato iconografico in parte inedito che diviene operazione concettuale e curatoriale nei casi di mancanza dell’opera originale che viene ad essere contrassegnata nello spazio con tratteggi prestampati lungo il pavimento e le pareti e attraverso immagini d’archivio dell’opera assente. Affascinanti sono le operazioni di reenacted come quella di Joseph Beuys e la sua Fettecke (Fat Corner,) il cui grasso vegetale è nuovamente steso negli interstizi e negli angoli della sala, ancora il lavoro di Keith Sonnier, Mustee, riattivato dall’artista stesso a Venezia.

Infine è il caso di citare il grande escluso della mostra di Szeemann, Daniel Buren, che all’epoca da sovversivo stese i suoi street posters nella città, e che oggi è riproposto nel nuovo contesto, in una riproposizione della sua clandestinità, negli spazi deputati all’esposizione documentaria del palazzo. Il risultato è, al primo ingresso, l’emozionante proiezione al passato, per poi assaporare e riscoprire le connessioni, le dinamiche linguistiche e teoriche che hanno contraddistinto la mostra di Szeemann. La mostra, a cura di Germano Celant, non è dunque solo un readymade ma è soprattutto un intervento ulteriore nella conoscenza della mostra di Berna e dei suoi apparati, in cui il passato è proiettato nell’oggi, passando attraverso un luogo più antico della Kunsthalle novecentesca e spingendosi infine al futuro, nella rappresentazione di codici espressivi che segnano il fare arte nella contemporaneità. Una mostra della mostra dunque in cui l’angoscia del riguardare sempre al passato cede il posto all’emozione di rivivere un passo fondante della storia dell’arte per chi all’epoca non poteva esserci, il tutto elaborato in maniera critica e riflessiva, tenendo costantemente sott’occhio gli obiettivi e i moventi di realizzare una tale operazione oggi.

Fino al 3 novembre; fondazione Prada, santa Croce 2215, Venezia; info: www.prada.com/it/fondazione/cacorner

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