Chiamatelo narratore

Gordon Parks è un dei narratori più preziosi della storia sociale statunitense, capace di comprendere e scavare dentro le pieghe della popolazione e di rivelare le ingiustizie e i soprusi per portare alla luce il racconto di chi non aveva una voce per gridare la propria storia. La fondazione Forma per la fotografia di Milano amplifica oggi il suono di questi scatti nella mostra Una storia americana, fotografie di Gordon Parks, prima grande retrospettiva europea dedicata all’attività del fotografo alla sua profonda poesia e alla sua fotografia classica, potente e profondamente cinematografica. La mostra è a cura di Alessandra Mauro ed è accompagnata da un catalogo edito da Contrasto.

Parks è annoverato tra i fotografi più importanti del ventesimo secolo, dagli anni Quaranta fino alla sua morte, nel 2006, racconta incessantemente al mondo, soprattutto attraverso le pagine della rivista Life, la difficoltà di esser nero in un mondo di bianchi, la segregazione, la povertà, i pregiudizi. Documenta anche i grandi interpreti del ventesimo secolo, il mondo della moda e perfino le grandi personalità portatrici di un profondo cambiamento, come Malcom X, Muhammed Ali e Martin Luther King. Artista eclettico come non mai, oltre che fotografo Parks è stato regista, scrittore, musicista, poeta e se il suo lavoro sfugge a una semplice catalogazione, forse la chiave per comprenderlo al meglio è quella di pensarlo come a un narratore di professione, uno storyteller della tradizione orale che usa prima di tutto la sua stessa esperienza, vissuta e sofferta, per comporre i propri racconti.

Inaugura in contemporanea al piano superiore dello fondazione la mostra Your wounds will be named silence fotografie di Robin Hammond esibizione che raccoglie gli scatti più significativi del fotografo vincitore del premio Carmignac gestion per il fotogiornalismo 2011 e curata da Alessandra Mauro e Robin Hammond. Il fotografo racconta in un intenso reportage la situazione odierna dello Zimbabwe, ex colonia britannica che nel 1980 conquista l’indipendenza ma che da allora vive 33 anni di violento deterioramento causato dal regime totalitario imposto dal dittatore Robert Mugabe. Il fotografo offre, con sguardo critico, la propria voce a questa generazione perduta di africani che lottano incessantemente con la morte a causa di malattie, povertà e disinteresse. Testimoniando la disperazione di una nazione, a rischio della propria vita e di quella dei collaboratori abbastanza coraggiosi da aiutarlo, il fotografo riporta sotto i riflettori una delle più importanti e durature emergenze africane, cosicché le voci dei perseguitati abitanti dello Zimbabwe possano venire di nuovo udite e ascoltate.

Fino al 23 giugno e fino al 26 maggio; fondazione Forma; piazza Tito Lucrezio Caro 1, Milano; info: www.formafoto.it