Il maestro dei suoi maestri

L’opera fotografica provocatoria di Joel-Peter Witkin (New York, 1939) sbarca a Firenze al Mnaf grazie alla collaborazione tra la fratelli Alinari e la galleria Baudoin Lebon di Parigi. La mostra si struttura in un percorso di 55 opere sperimenali dell’artista: ogni scatto è frutto di una ricerca creativa e interpretativa seguita da una lunga e complessa elaborazione formale che riguarda sia i soggetti ritratti che il processo di stampa. Il lavoro di Witkin  noto per le sue immagini enigmatiche in cui la gloria del corpo umano si confonde con la miseria e la ricerca spirituale con l’inquietudine religiosa  è dominato dal tema della rappresentazione della nudità, i suoi legami con l’erotismo, la sofferenza e il piacere, ma anche con il deterioramento e la morte.

L’approfondita cultura artistica del fotografo americano e la sua conoscenza relativa ai temi della grande arte – sia classica che moderna – emergono direttamente dai soggetti scelti come dalla composizione dei punti di vista. Witkin si comporta come un pittore che rivisita i temi della mitologia occidentale, i capolavori della tradizione artistica europea e la rappresentazione canonica del corpo umano. Le sue opere sono dense di citazioni formali tra cui si possono riconoscere i grandi nomi della storia della fotografia, come Muybridge, Rejlander e Holland Day, intrecciati con la scultura greca e romana, l’arte barocca, neoclassica e moderna. Inoltre, le scene ritratte sono ricche di rimandi, più o meno espliciti, ai grandi maestri dell’arte da Velasquez a Manet. Witkin affronta le stesse problematiche plastiche e gli stessi ambiti iconografici di questi capolavori, ma ritraendo e celebrando i corpi di soggetti ritenuti storicamente non rappresentabili come nani e storpi, androgini ed ermafroditi.

Altro elemento caratterizzante le opere di Witkin è l’aspetto tecnico: l’artista non interviene sulle sue fotografie con tecniche digitali, ma ottiene l’immagine finale manualmente attraverso la tecnica del collage. Le sue composizioni vengono pensate e preparate a monte, per poi essere attentamente elaborate in fase di stampa con diversi procedimenti molto personali (dal graffio allo strappo dei negativi, all’utilizzo di filtri e varie tipologie di ostacoli tra il supporto e l’ingranditore). Quello che vediamo ritratto è certamente un soggetto ma è anche la vera sostanza della fotografia, in quanto oggetto essa stessa.

Il fotografo nasce a New York nel 1939 da padre ebreo immigrato dalla Lituania e madre cattolica di origini italiane. Cresce e studia a Brooklyn. Durante il servizio militare gli vengono assegnati diversi lavori di reportage e riceve una prima formazione, prevalentemente tecnica, nell’ambito della fotografia: doveva documentare la vita di tutti i giorni del reggimento di base in Europa e altrove e, in modo particolare, la percentuale di incidenti e suicidi. Abbandonate le armi, Witkin inizia a studiare arte diplomandosi alla Cooper union e nel 1974 riceve una borsa di studio per la university of Colombia. Successivamente si trasferisce ad Albuquerque (New Mexico), dove vive tuttora e lì si iscrive alla university of New Mexico dove si laurea in Belle arti. È allora che inizia realmente a occuparsi di fotografia cominciando dapprima a lavorare con modelli anormali, ingaggiati in incontri fortuiti o tramite inserzioni. Trascorre del tempo tra i fenomeni da baraccone e sviluppa uno stile individuale e molto riconoscibile sia nella fotografia che nella tecnica di stampa dove, fin da subito, si concentra nella sperimentazione. Le opere di Witkin sono state esposte nei principali musei e centri d’arte internazionali; nel 1999 è stato nominato Chevalier de l’ordre des arts et des lettres e nel 2000 commandeur de l’ordre des arts et des lettres.

Fino al 23 giugno; museo fratelli Alinari, largo fratelli Alinari 15, Firenze; info: www.alinari.it

Articoli correlati