Biennale di Architettura

Se non ci trovassimo nel momento economicamente e socialmente complicato che ci tormenta, si potrebbe cogliere nella 13esima Biennale di Architettura di Venezia una qualche scarsità di speculazioni concettuali cui siamo stati abituati; invece, proprio per la situazione che stiamo attraversando, diventa il buon e costante motivo dell’esposizione. Come anticipato Il common ground di David Chipperfield ha lasciato – finalmente – poco spazio a visioni improbabili di progetti autoreferenziali che ultimamente ingolfavano l’Arsenale e ha invece presentato progettisti e idee con un sano senso del tema, oltre che della realtà critica in cui ci troviamo. Pochi fronzoli, insomma. A partire dai premi, che coerentemente sono andati a progetti e installazioni senza eccessivi margini teorici. Il leone d’oro per la miglior partecipazione va al padiglione giapponese, curato da Toyo Ito che ha posto e risposto alla domanda “L’architettura. Qui è possibile?” riferita alla situazione post-sisma del paese. Con un lavoro condiviso tra tre architetti e un fotografo, la mostra presenta in modelli di studio e grandi fotografie, il processo di costruzione di un’abitazione, che ha coinvolto residenti e ragionato sul contesto locale della città di Rikuzentakata, devastato. “Un’area distrutta dove ogni cosa è perduta offre l’opportunità perfetta per uno sguardo nuovo sull’essenza dell’architettura”, spiega Ito affermando che sì, anche qui, è possibile agire.

E in stridente antitesi alle archi-torri contemporanee, il leone per il miglior progetto è andato a Gran Horizonte, ovvero Torre David di Caracas, il più grande edificio occupato del mondo e l’esempio più significativo di architettura informale e abusivismo, che Urban Think Thank con Justin Mc Guirk ripropongono in una porzione in Arsenale: il visitatore diventa così abitante temporaneo di uno spazio-città brutale e senza dubbio più frequente di quanto la letteratura architettonica voglia raccontare. Le tre menzioni assegnate – il Padiglione della Polonia, Padiglione Russia e l’intervento di Cino Zucchi – scivolano forse nella tentazione estetica, e aprono a installazioni seducenti ma concettualmente piuttosto datate. Ciò che rimane interessante come spesso capita in queste grandi kermesse, è la serie di eventi collaterali che espandono la Biennale fuori dai confini delle corderie e i giardini. Tra le migliori, la mostra Viagem sem programa di disegni e foto dedicata al Alvaro Siza – leone d’oro alla carriera – colto non solo nella sua attività d’architetto ma nei momenti più intimi e personali alla fondazione Querini Stampalia, fino al 10 novembre. Intra cities : ghostwriting the future riflette su il progetto di rigenerazione urbana di 320 ettari a Kowloon east, Hong Kong, con l’attenzione verso l’imponente conflitto urbano e sociale che il paese sta vivendo. Campo della Tana, fino al 25 novembre. E infine, seguendo un immaginario file rouge, dalla I stagione del padiglione Italia all’Arsenale ( Adriano Olivetti nostalgia del futuro) si arriva in piazza S. Marco al negozio Olivetti, dove è esposta Programmare l’arte che riprende la mostra allestita nel ’62, in un amarcord di personaggi e produzione dell’Olivetti che ne fanno rivivere la geniale umanità. Fino al 14 ottobre.

Info: www.labiennale.org/it/architettura

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