Pinocchi contemporanei

Chissà cos’avrebbe detto Collodi o il suo Geppetto, fronte a queste mirabili creature che mirano mute l’osservatore, come novelli pinocchi contemporanei. Impasto di resina, bronzo a dare l’effetto carbone, funghi di silicone a coprire forme umanoidi, come a prendersi la rivincita sull’umano che (non è più) in noi, a trasmitarlo con le loro concrezioni tumorali. Legno, soprattutto: cedri del Libano, tigli e lecci che lasciano macchie e foreste, la natìa Val Gardena per farsi umano dolore, smarrimento e speranza, passione. Offrire allo spettatore le verità possibili in un cuore di legno. Appunto.

Aron Demetz, scultore altoatesino, classe 1972, giunge al Macro Testaccio per la sua prima personale in uno spazio pubblico a Roma. Circa venti le opere scultoree presentate nella rassegna Il radicante curata da Davide Pairone, a dimostrazione delle molteplici sperimentazioni materiche proposte negli ultimi tre anni anni dall’artista. Al centro di una ricerca profondamente simbolica l’uomo, complesso assemblaggio di fisicità, materia e spirito. «Nell’opera di Aron Demetz – dichiara Pairone nell’inedito catalogo a tronco d’albero – il tema della figura umana e la comprensione profonda della materia scultorea valgono come chiavi d’accesso a un linguaggio universale e scardinano l’aut aut fra localismo e globalizzazione, fra tradizione e contemporaneità. Il radicante è un organismo mutevole che ha un rapporto dinamico ma non conflittuale con la memoria e la progettualità e si pone come terza via fra le opposte retoriche del genius loci e della standardizzazione globale. Così gli echi della tradizione scultorea lignea delle Alpi si rispecchiano nelle inquietudini più attuali dell’uomo digitale e si definiscono in forme espressive uniche, urgenti, universali».

Il legno, talvolta ricoperto di resina, talvolta bruciato, diviene lo strumento per plasmare con maestria e rigore le fragilità dell’esistenza. La linfa che erompe in talune opere si fa essenza nei bronzi fusi come legni carbonizzati, sorta di fossili umani che ben rappresentano le sofferenze e le lacerazioni della natura. C’è poi il gruppo di Homo erectus, ancora in bronzo, sorta di speranza dopo l’Apocalisse, e le scansioni digitali alle quali Demetz ha accorpato la crescita di funghi, come rivincita della natura sul prodotto meccanico ma soprattutto anomalia, disfunzione di un corpo che di umano ormai ha poco. Per la seconda volta in un anno Roma ripropone, dopo la mostra “Body worlds” ma con ben altri esiti, opere in grado di far dimenticare allo spettatore l’artificio che le ha messe in scena; vere e proprie entità umanoidi, trascendenti tecniche e modalità che le hanno costituite. Nel caso di Demetz i corpi lignei avanzano come veri e propri esseri nuovi, assetati di vita. Il lavoro, come racconta l’artista, nasce da una particolare attenzione per gli indecifrabili comportamenti di adulti e bambini: «Mi ritrovo con appunti e bozzetti disegnati dappertutto – dice – costruisco la scultura partendo direttamente dal disegno e spesso riprendo uno stesso pensiero scritto per immaginare diversi personaggi. Osservando la foto delle mie sculture mi rendo conto che la direzione dello stile intrapreso ha una chiara continuità di pensiero. Ma il bello è che anche i lavori conclusi mi portano a continui ripensamenti e alla ricerca di soluzioni sempre in evoluzione».

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